Peppino Calderisi: «Al premierato serve il ballottaggio. Se dice no, la sinistra rinnega se stessa»

L’ex parlamentare della Bicamerale: Meloni vuole un premier eletto dalla maggioranza o da una minoranza?

GIUSEPPE CALDERISI
di Andrea Bulleri
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Venerdì 10 Maggio 2024, 05:55

Peppino Calderisi, già parlamentare di lungo corso e membro della Bicamerale D’Alema, tra gli animatori del cartello di associazioni liberali e riformiste che hanno promosso la maratona oratoria sul premierato. Il vostro appello a maggioranza e opposizione ha smosso qualcosa?

«Siamo in attesa. Posto che la necessità della riforma è incontrovertibile, data l’instabilità dei governi, il problema del premierato è uno solo: Giorgia Meloni vuole l’elezione di un premier di maggioranza, cioè votato dalla maggioranza assoluta, eventualmente con un ballottaggio, e quindi un premier dotato di una forte legittimazione popolare, oppure vuole un premier di minoranza, votato solo dal 35% o dal 40% degli elettori, il che vorrebbe dire che questo premier ha il 65% o del 60% degli elettori contro? Meloni risponda a questa semplice ma dirimente questione perché nel testo del disegno di legge non c’è scritto nulla al riguardo: né maggioranza assoluta, né soglia minima, né ballottaggio».

Premierato, come funzionerebbe la riforma costituzionale con il doppio turno?

Il problema che lei e i suoi colleghi avete proposto di risolvere proprio con il ballottaggio in Costituzione. Perché è così importante?

«La questione è dirimente perché nel caso della maggioranza assoluta avremmo un premier frutto di una scelta “deradicalizzata” in cui è decisivo il voto degli elettori “di mezzo”, cioè di quel ceto medio che costituisce il fattore di equilibrio del sistema. Mentre nel secondo avremmo un premier che potrebbe essere su posizioni estremiste, di destra o di sinistra. Un esempio da manuale: in Francia, in Costa Azzurra, la lista Le Pen è arrivata prima al primo turno con il 36% dei voti, ma al ballottaggio ha vinto il centro-destra con il 58%. Le due maggioranze, relativa o assoluta, portano a sistemi politici diversi, quale vuole Meloni? Questa scelta non può essere rinviata alla legge elettorale (in particolare perché Salvini non vuole, e si capisce), ma va prevista in Costituzione, in particolare quella del ballottaggio. Non solo: in tutti i Paesi europei in cui vige l’elezione diretta del vertice dello Stato è la Costituzione a prevedere che debba avvenire con il 50% più uno dei voti».

Non basta la legge elettorale?

«Va prevista nel testo della riforma anche per problemi di costituzionalità. Non solo quello di evitare che il premio sia eccessivo, a fronte di due sentenze della Corte costituzionale che non lo consentono, ma anche quello derivante dal bicameralismo paritario con due Camere del tutto autonome. Infatti nel ballottaggio - che è necessario se nessuno supera la soglia minima, come nel caso di esito difforme nelle due Camere - gli elettori deciderebbero con un solo voto l’assegnazione del premio e la composizione definitiva di entrambe le Camere, e questa scelta non la può fare la legge elettorale ordinaria da sola, senza una copertura costituzionale. E così pure, va trovata in Costituzione una soluzione alla questione del voto degli italiani all’estero».

Cioè?

«Sono 4,6 milioni, oggi hanno una sorta di “diritto di tribuna”, cioè eleggono solo 8 deputati e 4 senatori, cinque volte meno rispetto al loro numero, e pertanto nell’elezione diretta, dove ogni testa vale un voto, potrebbero determinare un ribaltamento dell’esito elettorale “in patria”, cioè dare la vittoria a un premier il cui schieramento politico è arrivato secondo per numero di seggi.

Vogliamo arrivare al paradosso di non sapere se dare il premio a chi ha preso meno voti o a chi ha preso meno seggi? Noi abbiamo individuato una soluzione: prevedere che le elezioni siano decise in base al numero di seggi vinti. La ministra Casellati ha riconosciuto che il problema esiste e lo sta studiando. Ma sono passati mesi. C’è una soluzione diversa? La si esponga e la si scriva in Costituzione: anche in questo caso la legge elettorale da sola non avrebbe la copertura costituzionale necessaria».

L’opposizione annuncia il muro contro muro. Eppure la forma di governo del primo ministro è stato a lungo un cavallo di battaglia del centrosinistra.

«L’opposizione, purtroppo anche il Pd, è su posizioni conservatrici fino a voler “fare muro con i corpi e con le parole” a difesa della “Costituzione più bella del mondo”, dimenticando che il centrosinistra è stato il primo a presentare le proposte per realizzare la forma di governo neo-parlamentare (tesi numero 1 dell’Ulivo, tradotto in testo normativo dal relatore Salvi della bicamerale D’Alema del ‘97). L’abbandono di queste posizioni riformiste è un errore gravissimo, non solo perché lascia una prateria politica sconfinata a Giorgia Meloni che due giorni fa alla Camera è riuscita a far proprio il testo Salvi (sottolineando che anch’esso prevedeva l’elezione del premier, con i nomi dei candidati premier stampati sulle schede elettorali), ma perché di fatto consente al governo di eludere le questioni e le scelte di fondo. Il Pd, in questo modo, rinuncia alla sua storia».

Perché, secondo lei?

«Non riesco a comprenderlo, non si rendono conto che così non impediscono il varo di una riforma con limiti molto gravi, pensano di vincere il referendum, ma potrebbero perderlo. Nessuno può oggi dire che esito potrebbe avere tra due anni un referendum su una riforma non condivisa».

Preferenze nella legge elettorale: che ne pensa?

«Non raccomando il voto di preferenza. E neppure sistemi proporzionali con il premio di maggioranza, che tendono a dare enorme potere di interdizione a piccoli partiti. Meglio un sistema uninominale maggioritario».

Trent’anni di tentativi, pochi (o nessun) risultato. Come se lo spiega?

«Le resistenze conservatrici sono fortissime. Ma bisognerebbe evitare di trovarci di fronte a un bivio tra “innovatori sgangherati” e “conservatori della Costituzione più bella del mondo”. La riforma va fatta, ma va fatta bene».

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