Le buche di Roma uccidono ancora. Ma le riparazioni sono ferme

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Luca Tosi Brandi aveva vent’anni. Aveva appena finito di dare un esame all’Università, studiava Scienze Infermieristiche e aveva preso 29. Sognava di aiutare e assistere gli altri come faceva da sempre con il fratello più grande affetto da una grave patologia. La mattina di mercoledì 12 dicembre, salutata la fidanzata e i professori, sale in sella alla sua Yamaha R125, imbocca via di Labaro a Roma Nord, una strada che conosce poco e su cui troverà la morte. Una testimone, una badante sudamericana di 45 anni, lo vede sbandare paurosamente su una serie di avvallamenti dell’asfalto prima del civico 125. «Andava a zig-zag, non riusciva a riprendere l’equilibrio, mi sono scansata per evitarlo poi è andato a sbattere contro un muro», ha raccontato giovedì scorso alla mamma del ragazzo, Antonella, che è andata a cercarla bussando porta a porta nel quartiere. Ora, anche in base a quella testimonianza, il pm Erminio Amelio, ha accolto la richiesta del super-consulente incaricato della perizia, lo stesso ingegnere scelto dalla Procura per il caso di Elena Aubry la 25enne che il 6 maggio 2018 morì in un incidente fotocopia sulla via Ostiense, di prorogare ulteriormente gli accertamenti. Sotto accusa dossi e radici che la Procura ha voluto rilevare anche con una riproduzione 3D della dinamica, nel caso di Elena prima e ora di Luca. Il ventenne, infatti, è solo una delle vite spezzate sulle strade della Capitale per colpa dell’asfalto sbriciolato, delle voragini e degli avvallamenti creati dalle radici dagli alberi e mai riparati o, semplicemente rattoppati alla male e peggio, a causa di appalti perennemente bloccati, vuoi perché le commissioni faticano a riunirsi o perché arenati negli iter burocratici. Tanto che il Campidoglio riesce ogni anno a eseguire appena il 20 per cento dei lavori in programma. Una maledizione, perché intanto, sulle strade di Roma si continua a morire.