Giuseppe Vegas
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Il paradosso dei partiti: le Europee senza Europa

di Giuseppe Vegas
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Domenica 5 Maggio 2024, 01:29

Le elezioni europee si avvicinano. Le liste sono pronte e le candidature sono state presentate. Tutto bene? Forse. Ma c’è qualcosa che non va. Qualcosa che scricchiola. Intendiamoci, in un periodo ordinario l’operazione a cui stiamo assistendo non offrirebbe particolare motivo di interesse; tutto si svolgerebbe secondo una consolidata tradizione. I candidati sono, come sempre, quelli che secondo l’opinione dei partiti rappresentano le persone più adatte per convincere gli elettori a dare il loro consenso. Si mira a personalità mediatiche, più che a professionalità specifiche per il compito che le aspetta.

Tuttavia, quello della scelta dei candidati non costituisce il tema oggetto di maggior rilievo. Anche le piattaforme politiche si ispirano a logiche stantie. Chi propone un’Europa più forte, chi insegue logiche identitarie, chi vorrebbe mettere all’angolo i tecnocrati, chi intende estendere a livello continentale i propri interessi nazionali. Il tutto in una logica inconcludente, che sembra voler mantenere nel solco del passato proposte caratterizzate più dall’ideologia che dalla concretezza dell’azione.
Mentre la scelta dei futuri deputati italiani a Bruxelles caratterizza un tema spiccatamente interno, quello della risposta che l’Unione europea dovrà dare ai cambiamenti in atto nel mondo costituisce un problema per l’intero continente. Oggi le posizioni dei vari Stati membri sono tanto distanti che la Commissione ha ritenuto necessario delegare a soggetti esterni rispetto al parlamento e al governo comunitario la redazione di due rapporti per delineare un piano di azione per il prossimo quinquennio. Mossa inconsueta, che la dice lunga sulle difficoltà che si profilano all’orizzonte
Il paradosso di una simile situazione dipende dal fatto che il mandato a redigere i documenti, confezionati dagli italiani Draghi e Letta, è stato affidato loro dal governo europeo uscente, non da quello che ci governerà nei prossimi cinque anni. Almeno sotto un profilo strettamente formale, si tratta di documenti che, per loro natura, sarebbero destinati ad essere consegnati direttamente all’archivio il giorno stesso delle elezioni europee. Tutto lascia pensare, in realtà, che saranno ripescati e da essi sarà tratta la necessaria ispirazione per modificare molte delle nostre regole negli anni a venire. Si rende palese a questo punto un problema politico che non va sottovalutato. Se la prossima maggioranza sarà diversa da quella attuale, potrebbe non essere del tutto agevole giustificare un simile repechage. Se invece saranno le medesime forze politiche a guidarci, occorrerà spiegare perché le proposte dei due rapporti non siano state fatte proprie nella campagna elettorale.
In realtà, nessun partito si è espresso con chiarezza indicando quale siano le scelte necessarie per affrontare e venire a capo degli inequivocabili segnali di decadenza che contraddistinguono, ogni giorno di più, il Vecchio Continente.

Si tratta di un dibattito che sembra non voler uscire dalla cerchia ristretta di intellettuali, economisti e sociologi e dei molti che si atteggiano a “guru” in giro per il mondo. Non a caso, i politici lo evitano accuratamente. Occorre muoversi in un campo alquanto scivoloso, soprattutto quando si dovrebbe dire la verità agli elettori. Ma, come si sa, la politica preferisce vendere sogni. Altrimenti si corre il rischio di alimentare la paura e di perdere i consensi. Soprattutto se si indicano ricette che di miele ne possono contenere assai poco.

La realtà ci impone di abbandonare i metodi del passato, quando si ricorreva all’espediente di indicare una serie di problemi, rinviando agli anni futuri la loro concreta soluzione, nella speranza che la parte difficile toccasse a qualcun altro. La condivisibilità dell’obiettivo è stata utilizzata per far premio rispetto alla sua realizzabilità.

Basti pensare a quanto è avvenuto sotto l’ombrello della politica ecologica: la restrizione nell’immediato all’utilizzo delle tradizionali fonti energetiche senza averne a disposizione di nuove; l’estensione del concetto di sostenibilità a tutti i tipi di impresa, comprese anche quelle finanziarie, con la conseguente restrizione del credito; la distruzione dell’industria, e soprattutto della capacità di progettazione, dell’automotive europea, solo per citare i casi più evidenti. E tutto subito. Senza considerare che obiettivi così importanti rappresentano un costo elevatissimo, che non può essere calcolato in soli 500 miliardi l’anno, somma di per sé ampiamente sottovalutata, dato che non tiene conto degli effetti indotti. A questi ingenti oneri poi vanno aggiunti quelli che ancora ci trasciniamo per effetto della pandemia e quelli che saranno necessari per far fronte ai crescenti conflitti internazionali. Il tutto senza avere adeguatamente individuata la via per reperire le necessarie risorse e per mitigare gli effetti nocivi della concorrenza sleale dei paesi che continuano a produrre senza rispettare i vincoli a cui è sottoposto il mondo produttivo europeo.

I problemi sono molteplici e non si può pensare di poterli risolvere subito e tutti insieme. Proprio per questo sarebbe indispensabile darsi una visione di ampio respiro, che contemperi, secondo una scala temporale realistica, le esigenze della rivoluzione tecnologica e del rispetto ambientale, senza contemporaneamente comprimere ulteriormente il tenore di vita della popolazione. Le proteste che sono andate montando a causa delle misure relative all’agricoltura e all’industria automobilistica costituiscono un campanello d’allarme che non va sottovalutato.
Per essere credibili, le forze politiche italiane dovrebbero già da oggi chiarire agli elettori come intendano riportare competitività e sviluppo nella vecchia Europa, per ridarle quello “smalto”, che si è andato rapidamente opacizzando negli ultimi anni.

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