Josè Rodrigues Dos Santos e Il settimo sigillo: «Il petrolio? Presto finirà»

La copertina de Il settimo sigillo. La fine del petrolio
di Vincenza de Iudicibus
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Martedì 24 Marzo 2009, 17:45
ROMA (24 marzo) -Esce in questi giorni in Italia il nuovo romanzo di Jos Rodrigues Dos Santos: Il settimo sigillo. La fine del petrolio. Il giornalista pi noto della tv portoghese, attuale direttore del telegiornale del primo canale pubblico, pluripremiato dalla Cnn e docente all’università Nova di Lisbona, torna dopo il successo di Codice 632 e Einstein e la formula di Dio. E si riaffaccia in Italia con un romanzo che lega una storia mozzafiato a uno dei temi più importanti della civiltà moderna: i cambiamenti climatici e la fine del petrolio.

Il racconto comincia con l’assassinio di uno scienziato nell'Antartide. L'Interpol contatta il professor Tomás Noronha, personaggio centrale anche nei due romanzi precedenti di Rodrigues Dos Santos, per decifrare un enigma, il segreto biblico che il criminale ha scritto su un foglio: 666.  Attorno al “numero del diavolo” Tomás Noronha comincerà una ricerca che lo porterà a fare i conti con il momento culminante della storia dell'uomo: l’apocalisse. La ricerca della soluzione all’enigma, e del movente degli omicidi (oltre allo scienziato americano verrà infatti ucciso anche un italiano), sarà un viaggio tra i pericoli che minacciano l’esistenza dell’uomo.



Professor Rodrigues Dos Santos, come nasce l’idea di questo romanzo?

«Semplicemente dalla constatazione che esistono due enormi minacce per l’umanità di cui si parla ancora troppo poco: i cambiamenti climatici e la fine del petrolio. Il settimo sigillo è un riferimento biblico dell’Apocalisse: Dio dona il libro dei sette sigilli a Cristo e quando viene aperto l’ultimo comincia, appunto, la fine del mondo. I cambiamenti climatici e la fine del petrolio sono i problemi più immediati che la civiltà si troverà a dover affrontare. Nel 1998 il petrolio costava 10 dollari al barile, lo scorso anno si sono raggiunti i 140 dollari. L’aumento del prezzo è coinciso negli ultimi anni con una crescita della domanda, soprattutto da parte di Cina e India, ma anche di Europa e America. Il problema è che però, a fronte di una crescente richiesta, l’offerta rimane la stessa. Qualche mese fa l’Agenzia internazionale dell’energia per la prima volta ha parlato dei problemi che riguardano appunto la produzione del petrolio».



Nel Settimo sigillo lei spiega il ruolo cruciale dell’Opec e come funziona il mercato del petrolio.

«L’obiettivo è far comprendere al lettore come funziona la produzione di petrolio. La produzione raggiunge lentamente un picco, poi rimane stabile fino a quando non si arriva a un crollo repentino. L’Opec ha raggiunto il picco di produzione nel 1981. Ed ecco che dal 1982 ogni tipo di informazione verso l’esterno è stata bloccata».



Qual è la situazione attuale delle risorse petrolifere del pianeta?

«Nella terra esistono solo 600 luoghi di estrazione: tra questi 400 li stiamo già sfruttando o sono già esauriti. I duecento restanti si trovano nell’Artico o in acque profonde. Negli ultimi 40 anni son stati scoperti solo quattro campi petroliferi supergiganti fuori dal Medio Oriente: precisamente in Cina, Russia, Alaska e Messico. Inoltre, la maggior parte dei campi entrati nel ciclo di produzione dopo il 1970 si sono esauriti intorno al 2000, come i campi Brent e Forties, nel Mare del Nord. E soltanto tre sono entrati in funzione dopo il 1990».



Quindi le informazioni diffuse sul petrolio sono ingannevoli? 

«Secondo Us Geological Survey le riserve mondiali del petrolio si possono stimare intorno ai 2,5 bilioni di barili. Questa stima è ottenuta sommando 1,6 bilioni di riserve certificate con 900.000 milioni di barili di petrolio ancora da scoprire. Il mondo consuma attualmente 80 milioni di barili al giorno e se il consumo rimane tale il picco verrà raggiunto intorno al 2030. Ma le stime dell’Us Survey vanno prese con la dovuta cautela. Anche quando parliamo delle riserve certificate parliamo dei dati forniti dai paesi produttori che, nel caso dell’Opec, sono poco affidabili».



Parla della decisione del 1985 dell’Opec di legare le esportazioni alla quantità di risorse di ogni Paese? 

«Naturalmente. Dopo questa decisione tutti i Paesi hanno ritoccato al rialzo le stime delle proprie risorse, senza che vi sia possibilità alcuna di verificarne la veridicità. Secondo alcuni calcoli, i Paesi non Opec raggiungeranno il picco di produzione tra il 2010 e il 2015. Dopo ci si dovrà affidare esclusivamente alla produzione dei paesi Opec, molti dei quali hanno in realtà già raggiunto il picco di produzione».



Non si potrà fare affidamento sul petrolio presente in Arabia Saudita?

«E’ proprio questo il punto cruciale. Documenti tecnici dell’Aramco, la compagnia petrolifera saudita, sono apparsi una riunione di ingegneri americani. La situazione descritta è a dir poco preoccupante. Tutti pensano che la “spare capacity” dell’Arabia Saudita, ovvero quei pozzi inutilizzati che possono essere attivati da un momento all’altro, sia immensa. In realtà il 75% del petrolio saudita si produce in due soli campi: Ghawar e Sefaniya. Nel primo in particolare se ne produce il 60%, e proprio su questo i documenti dell’Aramco svelano una inquietante verità, che nel libro racconto».



Un capitolo del romanzo, il XX, è interamente dedicato alla politica di Bush, e al legame tra l’ex presidente Usa e le compagnie petrolifere. Vede segnali positivi dopo l’insediamento di Obama alla Casa Bianca?
 

«Il cambio di amministrazione è certo un segnale positivo. L’industria del petrolio non è associata a Obama che invece ha ricevuto finanziamenti dai produttori di biocombustibili. Ci si sta muovendo in una direzione diversa e migliore. Una soluzione per evitare la fine della civiltà esiste, ma perché sia così e perché la fine del petrolio non ci colga impreparati occorre essere informati».



Cosa pensa dell’accordo di cooperazione tra Italia e Francia sull’energia nucleare? 

«Il nucleare offre buone possibilità per equilibrare la dipendenza energetica dal petrolio, ma il problema è che l’uranio come il petrolio finisce e il picco è già stato raggiunto. Ecco perché l’unica direzione possibile è quella di investire sulle fonti energetiche rinnovabili, che sono inesauribili».



Nel Codice 632 ci si interrogava sulle origini di Colombo. In Einstein e la formula di Dio si ponevano invece le domande esistenziali che più attanagliano l’uomo, chiedendosi in particolare se esista il libero arbitrio o tutto sia predestinato. Qual è invece l’interrogativo attorno al quale ruota questo romanzo?

«La domanda che mi pongo e che rivolgo a tutti è: possiamo evitare che la civiltà, come noi oggi la conosciamo, finisca? E la risposta è “magari”. Ma come? L’unica via è quella di far conoscere questi temi, sui quali non c’è un’informazione adeguata. Ho fornito quindi al lettore dei resoconti scientifici, precisi e attuali, in modo che ognuno possa farsi un’idea di ciò che succederà».



Il personaggio centrale del libro è comune agli altri due romanzi: si tratta del professor Tomás Noronha, uno storico che insegna all’università di Lisbona. Perché la scelta di questa figura? 

«Semplicemente perché il legame con il passato è la condizione fondamentale per comprendere il presente, e la figura dello storico è ideale per aiutare il lettore a capire. Inoltre, da storico ed estraneo ai temi energetici, Tomás Noronha si fa spiegare tutto in maniera chiara. È la chiave giusta per parlare a chi è interessato ma digiuno di questi argomenti».



La soluzione prospettata alla fine del romanzo ricalca un po’ le tesi di Jeremy Rifkin, autore di Economia all’idrogeno?

«Certo la produzione di energia dall’idrogeno viene indicata come una delle soluzioni possibili, e occorre investire affinché si possa farlo abbattendo i costi. Ma il finale del mio romanzo è un po’ diverso, non lo sveliamo. Quello che sottolineo sempre è la necessità di investire nelle fonti energetiche rinnovabili. Un cambio energetico non può certo avvenire da un giorno all’altro. Per non farsi cogliere impreparati è fondamentale investire nella ricerca, e lavorare per una produzione maggiormente efficace. In Italia, come in Portogallo, bisognerebbe incentivare l’uso dei mezzi pubblici e scoraggiare quello delle auto. Italiani e portoghesi sono i maggiori amanti dell’automobile nella Ue. È ovvio che per ridurne l’uso l’offerta alternativa, quella dei mezzi di trasporto pubblici, dovrebbe essere all’altezza».



La chiave dei suoi romanzi è nel mescolare l’intrattenimento letterario all’informazione. Una tecnica che riscuote successo e che serve a colmare la mancanza di approfondimento nel giornalismo?

«L’informazione quotidiana non ha tempo per l’approfondimento, e quella di scrivere un libro è una buona soluzione per ovviare a questa carenza. Tutti possono scrivere dei romanzi che non si intreccino con le tematiche reali. L’obiettivo delle mie storie è invece quello di coniugare narrativa e informazione, intrattenimento e apprendimento. In Portogallo il pubblico ha dimostrato di gradire questo approccio. A due mesi dall’uscita il libro aveva venduto già 120 mila copie. E il risultato sa qual è stato? Sono stato invitato in Parlamento a spiegare il tema trattato, il perché del bisogno di parlarne. Un buon segnale, che dimostra come l’opinione pubblica sia più importante di quanto si creda».



Martedì 24 marzo Josè Rodrigues Dos Santos presenta il suo nuovo romanzo Il settimo sigillo. La fine del petrolio (Cavallo di ferro editore, pp. 414, euro 18,50) alla Feltrinelli International di Roma, via V.E. Orlando 84. Appuntamento alle ore 18.