Fiera del libro, Bjorn Larsson:
«Non c’è scienza senza passione»

Bjorn Larsson
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Lunedì 18 Maggio 2009, 23:32
dal nostro inviato

Renato Minore

TORINO (18 maggio) - Capita che il filologo rinunzi a divulgare la pi grande scoperta della sua vita, il manoscritto originale del racconto del Graal. Capita che la cosmologa avversa al big bang scopra che, per quel frammento di coscienza dell’universo venuto alla luce con la nascita di un bambino, si possano dimenticare i misteri delle galassie. Capita che lo speleologo , scoprendo un vasto lago sotterraneo, constati come la sete dell’avventura lo abbia portato a chiudersi in una prigione con le sue stesse mani.



Sono per lo più scienziati- chimici, virologhi, linguisti chomskyani, filosofi volterriani nemici dei guru della fede- i personaggi, anzi gli Otto personaggi in cerca (con autore) (Iperborea) che animano i racconti di Bjorn Larsson, accumunati tutti, nella loro diversità, dallo stesso spirito, pronti a non dare niente per scontato, a mettersi totalmente in gioco pur di inseguire la loro ricerca e il loro sogno.



E così lo scrittore svedese, erede dei grandi narratori d’avventura come Conrad e London, il grande navigatore (è in procinto per partire per un nuovo giro delle isole della Scozia in vela), si muove ancora in un mondo di regioni inesplorate e rotte da verificare. L’ultimo forse dove è possibile ancora scoprire tesori, quello della scienza. I suoi otto protagonisti sembrano essere d’accordo su un punto: «L'essenza della scienza, come della letteratura, non si realizza in giudizi divulgabili, ma in esplorazione senza fine che non suscitano confortevoli certezze, ma probabilità piene di rischi; non tesi da abbracciare, ma ipotesi da tenere sempre sul filo».

Larsson, ospite al Lingotto per presentare il suo libro, ha appena finito di rendere un appassionato ricordo di Primo Levi, cui ha dedicato anche i racconti. E’ l’omaggio a un maestro? Una cara ombra sotto cui sostare?L’indicazione di un modello di scrittura?

«Levi ha cercato di far convivere scienza e letteratura. Sono due mondi differenti. E’ la mia stessa ambizione. La scienza è per lui un modo spontaneo per riconoscere la realtà, per essere presente nella vita civile, per comunicare con gli uomini. In Se questo è un uomo il dolore diventa il mezzo per ricercare le leggi che regolano il comportamento sociale. Lui disse una volta che quel libro e La tregua non erano letteratura. Sono d’accordo. Per essere scrittore vero devi immaginare personaggi veri».

C’è qualcosa che accomuna i suoi personaggi, il senso della ricerca, la riscoperta del dubbio…

«La scienza come metro, come approccio deve essere senza emozioni. Così si dice, ma non è vero, gli scienziati hanno ambizioni e passioni, rincorrono il prestigio, sono umani come gli altri. Così l’idea stessa di scienza comporta il rifiuto di ogni euforia scientistica, di ogni prodigioso sviluppo delle umane possibilità legate all’onnipotenza dell’uomo scienziato e tecnologo».

Lo statuto dello scienziato si racchiude nella paziente modestia di considerare ogni risultato come facente parte di una serie infinita di approssimazioni.

«I miei scienziati hanno complessivamente un’immagine rispettabile, fanno il loro lavoro…Sanno più o meno di dare un piccolo contributo alla conoscenza. L’errore di molti è di credere che sono indispensabili, che fanno la scoperta che cambia il mondo. Non è vero, ci sono migliaia di scienziati che fanno avanzare un poco il sapere, ognuno non è così importante… Forse è un male umano: anche gli scrittori talora pensano di essere unici».

Il viaggio, dice un suo scienziato piuttosto ostinato, è sempre meglio dell’arrivo. Anche per chi fa ricerca, non solo per chi si avventura in mare?

«Per essere ricercatori veri bisogna essere un po’ maniaci, nel perseguire una meta precisa, il sogno di fare una grande scoperta… Non è un lavoro come un altro…Simone de Beauvoir ha scritto un saggio sull’avventura, sullo spirito dell’avventura. Dice che l’avventura non è una soluzione alla vita, è un illusione pensare di dare un senso alla vita».

Si direbbe un modo probabilistico e ipotetico di intendere la scienza che chiede soccorso all’intuizione, all’immaginazione, alla poesia…


«Molti scrittori sono sordi, non hanno alcuna curiositas scientifica. Io volevo fare il geologo. Mi sono sempre interessato alle scienze naturali, alla biologia, all’astronomia. Capire Darwin, capire Einstein è importante per la concezione della vita e dell’universo che abbiamo. Questo vale, dovrebbe valere anche per i letterati».

Viene in mente Calvino, che diceva “io sono capace di trovare immagini solo nell’astronomia o nella genetica”.

«Per Calvino la scienza è importante, decisiva. Ha ingaggiato un corpo a corpo con antiche discipline scientifiche come l’ astronomia, la biologia, la zoologia e nuove, come la cibernetica e la genetica. Ha avuto bisogno della scienza (si potrebbe semplificare) per fare letteratura, la sua passione più profonda. Però gli è mancata una cosa che c’è in Levi, appunto la passione. Non c’è traccia nei suoi scritti di quel grande amore che ha avuto per dieci anni, la De Giorgi. Come è possibile?».

E’ un esempio isolato il Calvino che lei giudica un po’ anche algido?

«Ho letto almeno una sessantina di scrittori italiani contemporanei. In tutti ci sono molti segreti, cose che non si dicono, ma a tutti manca un po’ di passione. Calvino è il migliore, così preciso, esatto, ma mai appassionato. In Levi c’era la passione, era la sua vita, non poteva farne a meno… Da noi nordici c’è l’angoscia, la paura… E’ curioso che l’Italia, gli scrittori italiani controllino la passione…».