La guerra di Doris Lessing: in libreria
"Alfred e Emily", nuovo romanzo del Nobel

Doris Lessing
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Sabato 28 Giugno 2008, 15:35
di Roberto Bertinetti

ROMA (28 giugno) - A decidere il corso della storia furono alcuni colpi di pistola. Quelli sparati a Sarajevo alla fine di giugno del 1914 dal rivoluzionario serbo Gavrilo Princip che provocarono la morte dell’arciducaFrancesco Ferdinando, erede al trono dell’Impero austro-ungarico, e di sua moglie, la contessa Sophie. L’attentato fu la scintilla che, pochi giorni dopo, fece esplodere la prima guerra mondiale con la quale, secondo la felice ma discussa sintesi di Eric Hobsbawm, si aprì il secolo breve.



Ora Doris Lessing, Nobel per la letteratura lo scorso autunno, prova a riavvolgere e dipanare in maniera alternativa il filo degli eventi in Alfred e Emily, il suo ultimo romanzo apparso poche settimane fa nel Regno Unito e uscito in Italia per Feltrinelli (232 pagine, 16 euro, tradotto da Monica Pareschi) nel quale torna indietro nel tempo, immaginando un diverso destino per i suoi genitori senza che i folli sogni di Princip ne determinassero l’esistenza. Come accadde a decine di milioni di loro coetanei poco meno di cento anni fa.



Non si esercita con le raffinatezze dell’ucronia l’ultraottuagenaria Lessing, nonostante si sforzi di intrecciare nel testo piccoli e grandi eventi. Il libro, in realtà, pare una pacata ma drammatica resa dei conti all’interno della sfera familiare, di privatissimi sentimenti, ha le caratteristiche di un privato bilancio di dare e avere con il padre e la madre. Che rimette in discussione quanto affermato con scandalosa durezza in Sotto la pelle, uscito nel 1994, il primo tomo dell’ autobiografia. Allora il padre e la madre ne uscirono distrutti agli occhi del lettore, formavano una coppia triste, poco disponibile al dialogo e decisamente frustrata. Che riversava sulla figlia la rabbia per non essere riuscita a realizzarsi. Mentre adesso sono un uomo e una donna sereni con se stessi e gli altri. Con un particolare decisamente sconcertante per chi conosce la loro autentica (e tormentatissima) vicenda personale: non si sono mai sposati e hanno preso strade diverse.



Occorre fare un passo indietro e chiarire cosa accadde davvero per tentare di capire il senso della partita che Lessing ha scelto di giocare. La scrittrice nacque nel 1919 in Persia (l’attuale Iran) da genitori britannici che il conflitto spinse nell’area mesopotamica. Per loro fu una ferita mai rimarginata, che in seguito provocò ulteriori conseguenze di segno negativo, culminate con la scelta di emigrare alla volta della Rhodesia meridionale per fondare un’impresa agricola destinata al fallimento. Si legge nell’autobiografia: «Mia madre era sempre triste e la sua esistenza mi appare malinconica, mio padre con gli anni divenne un sognatore ormai privo di ambizioni che faceva impazzire dalla frustrazione quella povera donna di sua moglie. E fu così che approdarono, ambedue malati, nella grande casa di pietra persiana e in seguito in Africa. Mi sono accorta in seguito che tutti siamo un prodotto della guerra, deformati e distorti dalla guerra, eppure sembra che ce ne dimentichiamo».



Cosa sarebbe accaduto senza quel conflitto insensato e sanguinario? Lessing prova ora a immaginarlo, mettendo in scena una società edoardiana prospera e quasi felice mentre il resto dell’Europa arranca. Precisa nel romanzo, mentre tratteggia l’idillio di un Regno Unito rurale, dove Alfred e Emily non si uniscono in matrimonio e scelgono di seguire strade diverse: «L’Inghilterra era un paese ricco, in piena espansione, grazie a un livello di benessere alto. Bastava guardare la spaventosa situazione dell’Impero austroungarico e dell’Impero turco, che stavano crollando, per rendersi conto che la prosperità costituiva la ricetta migliore per evitare le guerre». All’interno di questa cornice Emily (la madre) va in sposa a un cardiologo londinese, diventa vedova e si dedica alla filantropia, mentre il padre (Alfred) coltiva i campi e si sposa con un’allegra e solida ragazza di campagna che, si indovina, è la madre perfetta sognata dalla scrittrice.



La storia sociale e il canovaccio dell’ucronia, comunque, hanno un ruolo secondario nel libro a dispetto delle intenzioni della Lessing. Perché il libro (certo gradevole, pervaso da un sapore tardovittoriano alla maniera di un Hardy meno ispido) ha le caratteristiche di una seduta di pubblica autoanalisi. Molte cose sono andate per il verso storto nella storia privata di Doris Lessing. E lei in questo romanzo (che rappresenta il suo atto di congedo dalla letteratura afferma a gran voce sui media britannici) ne attribuisce le responsabilità a quei colpi di pistola esplosi a Sarajevo. Senza tener conto che da un mancato incontro tra Alfred e Emily lei stessa non sarebbe nata. L’addio alla narrativa, insomma, coincide con una autocancellazione. L’ennesimo atto di sfida di un’intellettuale abituata a stupire e a nuotare controcorrente.