Regione Lazio, si punta su sei nuovi ospedali ma è caccia agli specialisti. Le associazioni di categoria: «Servono 8mila unità»

Tra le sfide della Pisana il rilancio di Tivoli e il nuovo policlinico Umberto I. Formia, Latina e Rieti sono in attesa delle strutture che sono state già finanziate

Lazio, si punta su sei nuovi ospedali ma è caccia agli specialisti. Le associazioni di categoria: «Servono 8mila unità»
di Giampiero Valenza
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Mercoledì 8 Maggio 2024, 06:55

Attrezzature insufficienti e spazi angusti. Per questo ci sono sei luoghi della Regione Lazio che hanno bisogno di un cambio di passo sul fronte dell’assistenza ospedaliera. Si comincia dall’area romana, con l’ospedale di Tivoli colpito al cuore dall’incendio dello scorso 8 dicembre. Per il nuovo ospedale Tiburtino nel piano regionale ci sono 170 milioni di euro. Ma ci vorranno anni prima di vederne la luce. Le strutture di molti ospedali sono quelle storiche, di fine Ottocento e primi Novecento. Per questo c’è “l’intervento degli interventi”, cioè lo spostamento del più grande ospedale pubblico del Lazio, con i suoi 1.174 posti letto: il Policlinico Umberto I. Dalla Regione sanno dove farlo. Sebbene sia una delle strutture all’avanguardia, troverebbe così spazi più idonei per tutti i suoi reparti. A Sud della Regione c’è un doppio problema: l’ospedale di Formia ha bisogno di spazi più grandi e tecnologie più avanzate. Sul piatto del nuovo ospedale del Golfo ci sono 178 milioni di euro. L’altra questione nell’Agro Pontino è legata a Latina. Per il nuovo ospedale che arriverà (è stato annunciato da anni) ci sono già 261 milioni di euro. Spazi insufficienti anche nella Sabina e per il nuovo ospedale di Rieti servono 204 milioni già in programma. La popolazione invecchia e anche per il piccolo ospedale di Acquapendente c’è bisogno di un nuovo edificio. Lì servono 30 milioni di euro. Tutto questo, secondo programma, dovrebbe avvenire dopo il 2026.

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I MEDICI

Capitolo medici.

Alcune realtà del comparto sanitario non si sono presentate alla conferenza in Regione. Tra queste Anaao Assomed, Aaroi Emac, Cimo e Fesmed, che rappresentano una grande fetta della categoria medica. E se la Regione sottolinea che il Servizio sanitario regionale passerà dai 53 mila e 583 dipendenti del 2023 ai 62mila e 662 professionisti del 2025 (con un incremento del 17% della forza lavoro) Aldo Di Blasi, segretario regionale di Anaao, sottolinea: «Il 17 per cento è sì qualcosa ma non è sufficiente se si pensa che da qui a due anni ci saranno altri pensionamenti: l’età media del personale medico è molto alta ed è intorno ai 55 anni per chi lavora in ospedale. Le nostre sono stime che si basano sull’attività clinica quotidiana: crediamo che l’intero Servizio sanitario regionale avrebbe bisogno di una dotazione organica di almeno 70mila unità per uscire dalla situazione emergenziale e riacquistare una sostenibilità sui servizi essenziali. Il dato dovrà essere confermato da un’analisi che è in corso da parte di Agenas che sta finendo la sperimentazione sui criteri per il calcolo dei fabbisogni». Quindi, rispetto allo sforzo fatto dalla Regione, ne servirebbero almeno 8mila in più.

AMBULATORI DI BASE

Poi ci sono i medici di medicina generale: un capitolo complesso perché tocca una figura - quella del dottore di famiglia - che formalmente non è un dipendente dello Stato ma svolge un servizio pubblico da libero professionista. Marco Trifogli, presidente di Snami Lazio, precisa che «per supplire alle zone carenti servirebbero tra i 500 e i 600 medici di base, considerando le aree che hanno più difficoltà come le quelle disagiate della periferia della Capitale e le zone della Valle del Sacco, dell’Aniene, dei Castelli Romani, della Ciociaria e della Sabina».

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