Al secondo giorno di lavoro come barista, mentre stava ancora svolgendo il periodo di prova, si è ritrovata a essere molestata sessualmente dal titolare del locale, che l’ha chiusa in uno sgabuzzino adibito a spogliatoio, ha iniziato a spogliarla e palpeggiarla nelle parti intime. È stata questa la prima traumatica esperienza lavorativa di una ragazza di circa vent’anni, venuta a Roma da un piccolo paese di provincia per trovare un impiego, durante la prima pandemia da Covid-19. Il proprietario del bar - un 37enne originario del Casertano - è ora imputato davanti alla prima sezione penale del Tribunale capitolino con l’accusa di violenza sessuale. Il suo legale insiste sul fatto che non può essersi consumata la violenza, visto che la vittima è rimasta chiusa in quello sgabuzzino “solo” 90 secondi.
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I FATTI
L’episodio, per il quale l’uomo è finito a processo, risale al 16 giugno 2020.
Secondo quanto ricostruito dal pm Stefano Pizza, l’imputato chiedeva alla sua giovane dipendente «di sbottonare la camicia e con violenza consistita in un gesto repentino - spiega l’accusa - le afferrava la canottiera al fine di abbassarla per vedere il seno e glielo toccava, costringendola così a subire atti sessuali». Solo l’arrivo improvviso di un cliente nel bar, avrebbe portato il datore di lavoro a desistere dai suoi intenti. La ragazza, infatti, approfittando di quel momento di distrazione, è riuscita a sgusciare fuori dallo spogliatoio. Poi si è recata dai carabinieri e ha denunciato tutto.
LE TELECAMERE
La sua versione è stata riscontrata, almeno in parte, dai filmati delle telecamere interne al locale, acquisiti dagli investigatori. Si vede infatti la giovane barista che entra nello sgabuzzino con il titolare e che dopo circa 90 secondi esce da lì con l’aria sconvolta, senza il gilè della divisa e con la camicia parzialmente sbottonata. Secondo la linea difensiva dell’imputato, il breve lasso di tempo in cui è stata chiusa nello spogliatoio (ossia circa un minuto e mezzo) non sarebbe sufficiente a configurare il reato di violenza sessuale. Se questa tesi sugli “abusi a cronometro” dovesse essere accolta dai giudici, sarebbe la seconda sentenza del Tribunale di Roma che va in tale direzione. Lo scorso luglio, infatti, il bidello di un istituto superiore della Capitale, finito sotto processo per avere toccato il fondo schiena di una studentessa nell’aprile del 2022, è stato assolto dall’accusa di violenza sessuale anche perché «l’intera azione si concentra in una manciata di secondi - si legge nella sentenza - senza alcun indugio nel toccamento».
LE AGGRAVANTI
Nella prossima udienza, fissata per il 3 maggio, il titolare del bar verrà sentito dai giudici e racconterà la sua versione. La Procura gli contesta l’aggravante di «aver commesso il fatto con abuso di relazioni di ufficio». Non solo era il datore di lavoro della vittima, ma quest’ultima stava infatti svolgendo un periodo di prova. L’altra aggravante contestata al 37enne è quella di aver abusato della ventenne mentre «era sottoposto a limitazione della libertà personale: all’interno del locale spogliatoio in cui l’aveva fatta entrare e l’aveva bloccata».