"Il destino dei cacciatori",
l'Africa di Wilbur Smith

Wilbur Smith a Roma per la presentazione de Il destino del cacciatore
di Francesco Fantasia
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Giovedì 5 Marzo 2009, 15:41 - Ultimo aggiornamento: 16:42
ROMA (5 marzo) - E pensare che un editore americano quattro decenni fa gli aveva persino suggerito di cambiare nome. O altrimenti di lasciar perdere la penna. Perch uno scrittore che si chiama Smith non potr mai diventare famoso. Oggi sappiamo com’ andata. L’editore non fa più l’editore. Ma in compenso Wilbur Smith, 76 anni, rhodesiano di nascita e sudafricano d’adozione, si è guadagnato il titolo di “Mr Bestseller”: un maestro del romanzo d’avventura che ha venduto qualcosa come 110 milioni di copie dei suoi 32 libri finora pubblicati.



No, non è davvero un signor Smith qualsiasi quello sbarcato ieri a Milano e che oggi alle ore 18 sarà a Roma, alla libreria MelBookStore, per presentare la sua ultima fatica letteraria, Il destino del cacciatore (Longanesi, 504 pagine, 19,60 euro). Il nuovo romanzo riprende la sterminata saga delle famiglie Courteney e Ballantyne, i cui destini lo scrittore di Città del Capo ha fatto finalmente intrecciare qualche anno fa. La trama come sempre va al galoppo e non concede tregua: infiniti sono i pericoli, gli intrighi e i tradimenti che nel cuore profondo dell’Africa deve fronteggiare il protagonista, Leon Courteney, incaricato di sventare un complotto anti-britannico alla vigilia della Grande Guerra. Courteney dovrà vedersela con spie e politici, avventurieri e bancarottieri. Ma siamo ancora agli inizi di una storia mozzafiato dal sapore di mare, di giungla, di amori passionali, di scorribande nel deserto: una storia ancora una volta ambientata nella lussureggiante cornice del Continente Nero, perché dice Wilbur Smith «chi beve l’acqua del fiume Zambesi con il latte della propria madre non potrà più abbandonare l’Africa, né temerla. È un proverbio del mio paese, ma è anche quello che è capitato a me».

 

Dopo più di 40 anni la saga dei Courteney e dei Ballantyne continua ad affascinare milioni di lettori. Qual è il segreto del successo di queste storie familiari?

«Ai lettori piace confrontarsi o identificarsi con la vita di altre persone. Quando leggiamo un romanzo, ma anche un saggio o una poesia siamo tutti lettori di noi stessi. Ma nello stesso tempo andiamo a caccia di nuove emozioni. Ecco perché i protagonisti dei miei libri sono sempre alle prese con gli istinti elementari del coraggio e della paura, dell’amore e dell’odio, in un confronto diretto con la natura e il pericolo. In fondo, è la formula dei miei romanzi: mescolare insieme la storia, l’avventura, la fantasia».



Insieme a Leon Courteney, l’altro grande protagonista del Destino del cacciatore è la “sua” Africa, Mr Smith. Com’è cambiato in questi anni il Continente Nero?

«La società coloniale nella quale sono cresciuto era profondamente ingiusta. Ma non era così brutale come lo Zimbabwe di oggi. Sbarazzarsi di dittatori come Mugabe non è facile. In ogni caso, l’Africa ha tante faccia diverse da mostrare. E la bellezza di alcuni luoghi è rimasta intatta, inviolata: dal monte Kenya al deserto del Kalahari fino a quella cattedrale della natura che sono le cascate Vittoria sullo Zambesi, scoperte da Livingstone. Tutte facce dell’Africa che vanno preservate».



Eppure lei contesta uno dei principi dei protezionisti occidentali: la difesa a oltranza di ogni specie animale. Come mai?

«La verità è che il protezionismo non paga. E quello ovattato di marca europea non mi convince. È la maschera di un nuovo colonialismo. Sono invece a favore di una caccia controllata, se questo significa sviluppo sostenibile per le popolazioni locali. Come in Botswana, dove per cacciare un leone bisogna sborsare 150 mila dollari che vanno alle tribù indigene».



Torniamo ai libri. Quanto c’è di Wilbur Smith nei personaggi dei suoi romanzi?


«C’è qualcosa di me in tutti i miei personaggi. A volte rappresentano ciò che vorrei essere, altre volte ciò che ho paura di diventare».

Come un Salgari africano lei intesse abili trame sullo sfondo di paesaggi esotici. E come Salgari viene trascurato dalla critica. Si è chiesto perché?

«Mah, forse perché la critica non valuta la serietà e l’entusiasmo che metto nel mio lavoro. Poco male: i critici a cui preferisco dare ascolto sono i miei lettori».



Anche nel Destino del Cacciatore lei fornisce dettagliate informazioni praticamente su tutto: dal folklore dei Masai alle macchine volanti del 1910. Come fa a sapere tante cose e a usarle tanto bene a fini narrativi?

«È il risultato di una vita fatta di viaggi, di avventure e di libri letti. Non ho mai scritto una riga senza aver provato di persona o essermi documentato a fondo. Ho pilotato aerei, mi sono imbarcato su petroliere, ho risalito fiumi in piena, sono sceso nelle miniere. A tredici anni ho anche ucciso un leone. Poi, un giorno, sparai a una zebra. La raggiunsi ed era ancora agonizzante. Mi guardava con occhi disperati. Da allora, anche quando prendo un pesce lo ributto in mare».



Lei si è sposato quattro volte: eccesso di ottimismo o di incoscienza?

«Le prime due volte era molto tempo fa: ero poco più di un ragazzo, senza esperienza. Il terzo matrimonio con Danielle (scomparsa nel 1999) è durato 40 anni. Poi ho incontrato e sposato Mokhiniso, una ragazza del Tagikistan che ha 39 anni meno di me. I giorni della caccia sono finiti, ma adesso vivo i giorni più belli».



La sua è una vita da romanzo: successo, amore, denaro. Ma c’è per caso un sogno che vorrebbe ancora realizzare?

«I libri che ho scritto mi hanno permesso di avere tutto. E se c’è una cosa che posso ancora desiderare è di rifare tutto ciò che ho già fatto nella vita. Ma questa volta per rifarlo meglio».